lunedì 25 agosto 2014

La sindrome di Mary Poppins (versione 1)



Bentornate e bentrovate!
Dopo un mese di assenza ricominciano i nostri appuntamenti settimanali, con qualche sorpresa in arrivo prossimamente! (a proposito, avete già visitato il nuovo profilo instagram?)

Durante queste vacanze ho visto un film che mi era sfuggito lo scorso inverno: Saving Mr. Banks ovvero la storia delle vicissitudini di Walt Disney per convincere l'autrice del best sellers Mary Poppins (Pamela Lindon Travers) a cedergli i diritti d'autore per farne la trasposizione cinematografica: un braccio di ferro durato ben vent'anni.



Al di là della probabile versione romanzata della pellicola, resta il fatto che il libro della Lindon Travers è stato ispirato da personaggi reali della sua vita di bambina: il padre bancario (nel romanzo Mr. Banks) e la zia Ellie (diventata poi Mary Poppins).
Il film fa capire come le reticenze della scrittrice a cedere i diritti celassero il timore che i suoi personaggi non venissero rappresentati fedelmente o figurassero sotto una cattiva luce, in special modo Mr. Banks, alter ego di suo padre, morto prematuramente quando lei aveva circa 11 anni.
Tutto il film gira intorno al bisogno di quella bambina di “salvare” l'immagine di un padre sparito troppo in fretta dalla sua vita, lasciando un lutto troppo grande da elaborare da sola, soprattutto perché vissuto nell'idealizzazione e nella spasmodica ricerca di trovare giustificazioni a comportamenti sopra le righe o addirittura dolorosi.

Quello di oggi è il primo articolo di due, che a mio avviso, possono spiegare certi comportamenti che spesso riscontro nella terapia con alcune donne e che possono essere analizzati proprio a partire da questo personaggio ormai entrato a far parte dell'inconscio collettivo – almeno di quello occidentale – Mary Poppins, appunto.
Il complesso vero e proprio prende le mosse dalla protagonista del romanzo, mentre in quella che oggi ho chiamato la “versione 1” di questo fenomeno (che in questo caso sarebbe più opportuno definire sindrome di Pamela Travers) analizzeremo insieme proprio a partire dal film, un complesso insieme di dinamiche interiori che possono ostacolare una donna nella ricerca di un compagno, proprio come è successo alla scrittrice, che come deduciamo dal film – ha trascorso la maggior parte della sua vita da sola, a cercare di salvare l'immagine del suo “primo amore”.

Nel romanzo, la Travers ha potuto trasformare e far volgere al meglio la triste realtà della sua infanzia: un padre alcolizzato che lavorava in banca ma era totalmente inaffidabile e una madre depressa, isolata e con poche risorse per i suoi figli.
Il bello della scrittura è che l'autore può creare una realtà alternativa, costruire scenari possibili e migliori: ecco che allora la signora Banks diventa una suffragetta impegnata nella lotta ai diritti femminili, con poco tempo da dedicare ai bambini, mentre il signor Banks è un bancario rigido e con un senso del dovere spiccato che ben poco sa giocare e dialogare con i suoi figli.
La costante, anche nel libro, è che i bambini sono poco seguiti – ma col finale a sorpresa tutto si capovolge – però il motivo “salva” questi genitori che sono importanti, impegnati, sono modelli comunque edificanti da seguire, tutto il contrario di quelli veri.

La figura paterna per ogni bambina è l'imprinting delle relazioni d'amore del futuro.
Ci sono libri e libri dedicati a questo delicato rapporto di equilibri precari, di solito sbilanciati e fragili, che vedono le figlie dedicare gran parte della loro vita a risarcire le ferite di questo tenero amore precoce.
Occorre qui semplificare al massimo, ma – premesso che non esiste il genitore perfetto – il padre delle passate generazioni viene spesso definito “il grande assente”.
I motivi dell'assenza possono essere dei più svariati: il troppo lavoro, l'indisponibilità emotiva, l'avere un temperamento introverso, fino alla morte precoce come è il caso del film.
Quando si parla di queste mancanze ci si immagina sempre la carenza d'amore o peggio dei maltrattamenti, o l'indifferenza... mentre in realtà, sempre più spesso, (come vediamo nelle toccanti scene della Pamela bambina), si tratta di dover faticosamente gestire aspetti contraddittori del proprio genitore.
Il signor Travers era un papà dolce e appassionato, dedito alle sue figlie, ma allo stesso tempo un uomo fragile, amante dell'alcol, incapace di gestire un lavoro che gli dava responsabilità più grandi di lui.
E le bambine hanno respirato e vissuto entrambi questi modi di essere.
Il problema è che quando siamo piccoli non siamo in grado di vedere l'uomo dietro il papà.
La bambina vorrebbe il papà perfetto, quello che stravede per lei, la ama e allo stesso tempo è rassicurante, presente, affidabile.
Quando molti di questi bisogni vengono appagati, risulta difficile poi farli convivere con altri di tutt'altra natura che mettono in difficoltà, provocano vergogna o rabbia.
La “soluzione” inconscia che spesso ne emerge è quella di rifiutare ciò che è incoerente e accettare elevandolo quello che più rassicura.
Quindi, soprattutto quando c'è una vera e propria perdita con la morte, il papà diventa un eroe e un mito da salvaguardare a tutti i costi.
Come Pamela Travers, ci sono donne che cercano tutta la vita di tenere alto il ricordo del loro padre, sforzandosi con tutte loro stesse di ricordare solo i momenti felici.
Questo però significa vivere comunque sotto l'incantesimo del complesso paterno, che può manifestarsi in vari modi come il mettere a confronto ogni uomo con il papà-eroe (dal quale qualunque essere umano uscirà sconfitto) o addirittura scegliere uomini incostanti, incoerenti, inaffidabili (che quindi già in partenza non mineranno il trono all'unico che merita di sederlo).
Questi comportamenti inconsci – oltre che ostacolare la vita affettiva della donna che li pone in essere, sono in realtà tutti finalizzati a mantenere intatto il rapporto d'amore originario e perduto.



Il bisogno di Pamela è un bisogno universale.
Ogni bambino – e ricordiamoci che ciascuno porta sempre con sé il proprio bambino interiore – ha la necessità di dare un significato alla propria storia, di attribuire motivi ai comportamenti dei propri genitori, soprattutto quando certi modi di essere, certi eventi o inadeguatezze, hanno fatto sì che si allontanassero molto dalle aspettative dei loro figli.
(Abbiamo già parlato dell'importanza delle radici qui)
Come suggerisce Walt Disney nel film, in realtà Mary Poppins non arriva per salvare i bambini bensì per salvare il loro padre.
Nella storia reale, la zia Ellis, giunge nelle sperdute campagne dove la famiglia Travers vive , portando con sé una nuova energia, oggetti stravaganti, modi di fare sopra le righe che mettono allegria.
Arriva purtroppo nel momento più triste: gli ultimi giorni di vita di suo fratello.
Nonostante tutto non può cambiare il corso delle cose.
Mary Poppins però lo ha potuto fare.
È grazie a lei che il signor Banks impara a far volare l'aquilone e a dedicare più tempo alla famiglia.
Una volta ottenuto questo risultato, può ripartire.

Nella realtà non accade sempre il lieto fine.
Per fare in modo che le cose si sistemino, occorre impegnarsi a vedere e ad accettare anche il lato ombra del proprio padre, togliendolo dal piedistallo che impedisce di poter vedere l'uomo che potrebbe essere destinato a te.
Così, al posto di Mary Poppins, riparte la vita di ciascuna quando finalmente si può smettere si impiegare molte energie a salvaguardare la vita altrui, diventando padrone della propria.
Smettere di vedere le cose con gli occhi della bambina e diventare finalmente una donna.

Buona settimana
virginia



4 commenti:

Anonimo ha detto...

Lei dottoressa riesce sempre ad esprimere quello che tutte noi abbiamo dentro e non riusciamo o non vogliamo "tirare fuori" per paura della realtà .
Grazie grazie e ancora grazie.
Un abbraccio con tante lacrime di gioia.

donneincontatto ha detto...

Grazie a lei e alla partecipazione, se pur virtuale, a un piccolo passo di consapevolezza che spero la aiuti a poter lasciare emergere tutte le ricchezze celate dentro di lei.
Un abbraccio colmo di gratitudine per la fiducia che ripone in me

Roberta ha detto...

Il tradimento di mio marito e la conseguente separazione, mi hanno costretta a vedere dentro me stessa e non solo a guardare! Tra le altre cose, ho visto una bambina,ultima di 5 fratelli, che per avere un'attenzione unica di questo padre forte e carismatico (anche bello naturalmente!) non mangiava, faceva pipì a letto, non parlava,...ma non era mai abbastanza! Non mi sentivo "speciale"! Questa ricerca e' durata 43 anni! Ora senza rancore, senza rabbia, ma solo con consapevolezza, sono speciale per me stessa!
Con stima
Roberta

donneincontatto ha detto...

Roberta, quante pagine di vita intensa nelle sue parole! Sono proprio riuscita a "vederla" quella bambina che mi ha raccontato, con tutti i suoi sintomi ma soprattutto il suo bisogno immenso di amore... adesso però fra le righe percepisco anche la donna che se ne sta prendendo cura.
grazie per la sua testimonianza